Corrado Corradi: le origini della Jihad
Esperto di geopolitica
A Torleone il 14 dicembre 2020
“Ero lì!”: queste le parole che Corrado Corradi, ex colonnello dell’OO.II.SS (Organismi informazione e sicurezza militare), ha reiterato nel corso dell’incontro con gli studenti della Residenza Torleone. Ora in pensione, Corradi vive tra il Marocco e l’Italia e, in effetti, lui “lì” c’è sempre stato: costantemente a contatto con la realtà del mondo islamico del Maghreb, di cui è un fine conoscitore. Lo testimoniano le sue pubblicazioni a riguardo, nonché un nuovo volume dal titolo “Rischio Islam”, adesso in fase di stampa, che si destreggia tra le complesse articolazioni interne del mondo musulmano.
Il filo conduttore della sua presentazione, per poi ricollegarsi al tema del fondamentalismo islamico, è stato il precario equilibrio dell’Algeria degli anni ’80: un Paese lacerato dalle opposte tendenze del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), che aveva condotto il Paese all’indipendenza negli anni ’60, e del Fronte Islamico di Salvezza (FIS), supportato dalle fasce più giovani della popolazione ma estremamente intollerante nei confronti del “diverso” (cristiani e sciiti). Le origini di questa rottura sarebbero da ricercare, per Corradi, nel mondo africano post-decolonizzato e nel fallimento del baathismo, promotore di una politica a favore di un mondo arabo laico e riunificato. Quali furono le conseguenze? L’ex-colonnello dell’OO.II.SS, dal Marocco in cui viveva in quegli anni, le ha osservate in prima persona e ne rimase sconcertato, consapevole della lunga tradizione di reciproca tolleranza che finora aveva coacervato tutte le culture del Maghreb. “Ricordo ancora”, confessa Corradi, “quando in Marocco abolirono la processione per l’Assunta e per il Cristo Re: fu il primo passo verso una radicalizzazione dell’Islam politico, che si rese evidente in Algeria con la comparsa del termine ‘infedele’ e l’obbligo di professare la religione musulmana per ottenere la cittadinanza”.
Da qui al conflitto il passo fu breve: infervorato da Abbàssi Madanì e da Alì Belhadj, rispettivamente presidente e predicatore della “linea dura” del FIS, il popolo si ribellò, dando avvio alla prima Jihad, “di vent’anni precedente sia alla primavera araba sia ai conflitti del Daesh (Stato islamico) in Medio Oriente”. Anche i “metodi” della guerra civile algerina ricordano la moderna “guerra santa” dell’ISIS, con decapitazioni filmate e assassini simbolici di cittadini europei: come dimenticare i sette monaci trappisti francesi di Tibhirine e il cardinale Leon-Etienne Duval, incontrato personalmente da Corradi, morti in difesa della loro missione di predicazione e di protezione verso i più disagiati.
L’incontro, dopo numerosi interventi, si è concluso con l’ammonimento di Corradi (frutto dell’esperienza) “a non generalizzare la complessa realtà dell’Islam: vi sono certamente gli intolleranti, rispettosi del interpretazione più intransigente del Corano, ma anche i musulmani tolleranti del Marocco, della Tunisia, della Giordania… con loro potremmo anche stabilire un dialogo sereno e costruttivo”.