A Torleone l’8 novembre 2021
Trovarsi a capo di una grande azienda non è certo un compito facile: comporta costanza, talento, rispetto… e anche una piccola dose di fortuna; in alcuni casi bisogna anche sapersela creare, cogliendo e maturando tutti gli impulsi esterni. Daniele Vacchi, per molti anni nel gruppo IMA, società bolognese leader mondiale nella produzione di macchine automatiche, n’è un esempio evidente e dimostra, in maniera cristallina, come uno spiccato senso imprenditoriale non sia in contraddizione, ma al contrario in perfetta sintonia, con una formazione spiccatamente umanistica.
“Seguendo il mio percorso formativo, si impara a non dare nulla per scontato e a rimanere sempre aggiornati”: il relatore, dunque, individua proprio negli studi di Scienze Politiche, uniti da sempre a un profondo interesse per la sociologia, una delle chiavi del proprio successo. Tra l’altro, il successo non nasce mai da sé, e anche per Vacchi è frutto di una lunga esperienza lavorativa che ha ormai condensato la piena conoscenza delle tecniche produttive (i singoli, minuscoli passaggi che dalla materia prima conducono a un prodotto finito) con una profonda erudizione sul loro inevitabile impatto sociale.
Non a caso, dal 2017, Vacchi è presidente di un’importante associazione a sostegno del Museo del Patrimonio Industriale di Bologna e si propone l’ambizioso obiettivo di diffondere tra la gente comune la consapevolezza di cosa Bologna, e tutta l’Emilia Romagna, abbiano significato per lo sviluppo tecnologico mondiale. Egli fa riferimento specificatamente a una forza misteriosa e innominabile, una sapienza passata di generazione in generazione, “gomito a gomito”, a partire dal lontano 1300, quando una innovativa macchina per la torcitura rese questa città la prima produttrice di seta del mondo occidentale. Tuttavia, afferma Vacchi, “come spesso accade in Italia, conosciamo meno degli stessi Paesi esteri le eccellenze del nostro territorio” e, difatti, continuiamo a essere all’oscuro del ruolo di Bologna nell’odierno (e mai come adesso centrale!) settore dell’automazione.
Ed è in questo campo che entra in gioco IMA, azienda che dal 1976 ha iniziato lentamente a sbaragliare la concorrenza internazionale, proponendosi come alternativa efficiente nei metodi di confezionamento di medicinali e cosmetici, fino alle bustine di tè e alle cialde del caffè. Vacchi non si è limitato a descrivere ai presenti i singoli passaggi del processo (esaminando il caso delle bustine di tè), ma ha anche sottolineato l’impatto complessivo sul mercato, europeo e non solo, del ‘metodo bolognese’ con una produzione per macchina quasi quadruplicata rispetto al passato. “Ed è straordinario pensare”, tiene a enfatizzare il relatore, “che tutto questo è l’esito di una mentalità produttiva risalente a un antico torcitoio del ‘300”.
Una mentalità produttiva che Vacchi ha cercato di infondere anche in noi, chiedendo pareri ai presenti, ascoltando le esperienze universitarie e instillando nuove idee o propositi per il futuro professionale, senza escludere l’idea di improvvisi (e talvolta violenti) cambi di rotta. “Il fallimento”, ricorda, “è parte della formazione e dell’educazione morale di ognuno, bisogna imparare a sbagliare, accogliere l’errore come un’opportunità costruttiva”.