A Torleone, 24 gennaio 2022
Tutti abbiamo sentito parlare di grafologia e di studi psicologici basati sulla scrittura. Libri, film, serie tv: sono tutti mezzi che ci proiettano inconsciamente verso questa disciplina e, in modo altrettanto inconscio, siamo stati tentati, almeno una volta nella vita, a paragonare quest’attività all’astrologia o alle arti divinatorie. Niente di più falso! E Marco Palmia, ospite dei residenti della Torleone, è venuto a dimostrarlo.
In via preliminare, è giusto chiarire cosa sia la grafologia. Si occupa, forse, dell’aspetto sociale della scrittura? E’ un supporto alla psicologia? Naturalmente sì, ma è anche molto di più; altrimenti non saremmo in grado di spiegarci la sua storia millenaria. Nata in Oriente ai tempi di Confucio, come appendice delle sue riflessioni filosofiche, la “psicologia della scrittura” giunge in Europa nel pieno del Medioevo affermandosi in quegli ambienti ecclesiastici che facevano della pratica scrittoria il proprio pane quotidiano. Da questi primi esiti bisognerà attendere la fine dell’XVIII secolo per una sua affermazione “ufficiale”, che in Italia giunge solo decenni più tardi, agli albori del XX, grazie agli studi di padre Girolamo Moretti ad Urbino.
“La nostra scrittura è come un encefalogramma: il cervello comanda i muscoli delle dita e dà impulsi che corrispondono a specifiche intenzioni”, sottolinea Palmia, e il compito del grafologo è proprio decifrare questi impulsi. Non a caso il nostro ospite, dopo aver a lungo lavorato nei tribunali nel ruolo di perito e come assistente di psicanalisti, ha ormai da tempo indirizzato la sua professione verso l’ambito aziendale, lavorando a stretto contatto con i direttori del personale. I suoi obiettivi? Il reclutamento di nuovi dipendenti, seguendo le specifiche predisposizioni di ognuno, e una crescita olistica ed equilibrata dei singoli collaboratori o di interi team. Evidentemente un compito molto delicato che si sostanzia anche di un “training grafologico” volto a prendere coscienza delle proprie risorse e dei margini di miglioramento.
Insomma, la grafologia non sarà certo una scienza esatta (il relatore lo ha ammesso con molta naturalezza), ma le risposte e i benefici che produce conducono a dei risultati assolutamente riscontrabili. Un buon grafologo sa anche che a dei tratti primari della scrittura, legati a propensioni comportamentali, si associano alcuni tratti secondari, legati all’età e a contingenti condizioni psicofisiche (stress, stati d’animo, ecc…), che hanno una rilevanza molto meno marcata: sapersi districare fra questi cavilli riduce ampiamente il margine di errore.
Infine, come in ogni professione che si rispetti, bisogna sapere quando è giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica. E come meglio riuscire in questo se non analizzando qualche scrittura “in tempo reale”? Alcuni residenti hanno fatto pervenire un “campione” della propria calligrafia al relatore e, durante l’incontro, si è proceduto a commentarli. I risultati sono stati davvero sorprendenti, frutto di un’analisi lucida e per nulla banale, che ha anche consentito di osservare il metodo di lavoro di un grafologo. L’altezza delle consonanti, la disposizione delle parole, gli spazi bianchi, l’angolazione della scrittura: tutti dati che possono evidenziare maggiore o minore curiosità, ambizione o passione, riverberandosi sul nostro agire quotidiano.